Volume VII – VII Concorso 1966. Pianificazione economica e piani urbanistici, a cura di Corrado Beguinot, F.A.D.R., Roma 1970.
Nel 1966, il Consiglio di Amministrazione della Fondazione, per la prima volta dalla nascita dell’Ente, si trovò di fronte ad un vero e proprio dilemma sul tema da proporre agli studiosi per il settimo Concorso Nazionale. La disciplina si stava evolvendo in maniera complessa e le tematiche da affrontare, quasi tutte urgenti allo stesso modo, erano numerose.
Dopo un acceso dibattito il Consiglio individuò due argomenti il cui approfondimento appariva, all’epoca, più urgente degli altri: il problema della interconnessione fra pianificazione economica e piani urbanistici, difficilmente realizzabile e quello della conservazione e salvaguardia dei centri storici. Temi fra loro quasi antitetici, con pochi punti in comune, quanto meno ad un primo approccio, ma che, in ogni caso, dovevano essere affrontati, per un loro approfondimento, alla luce dell’accelerazione che i processi di sviluppo socio-economico avevano assunto nel nostro paese a seguito del cosiddetto miracolo economico, a cui guardava tutto il mondo occidentale.
Nel 1865, immediatamente dopo la costituzione del Regno d’Italia e prima della presa di Roma, due delle iniziative legislative del nuovo Regno avevano infatti trattato le materie in questione: la legge 25 giugno 1865 n. 2359, nell’ambito del più “sentito” tema delle espropriazioni per pubblica utilità, trattò dei piani regolatori edilizi e dei piani regolatori di ampliamento, mentre la legge 20 marzo 1865, n. 2248, nello stabilire l’ordinamento delle amministrazioni comunali e provinciali, affidò ai comuni la facoltà di deliberare regolamenti edilizi, di igiene e di polizia urbana.
In pratica, fin dalla formazione del nuovo Stato unitario il legislatore tenne a separare le due normative, assoggettando la materia urbanistica, per il suo più generale interesse pubblico, all’Amministrazione dei Lavori Pubblici – “sentiti” gli altri Ministeri interessati – e lasciando la “vile” materia dello ius aedificandi, meno interessante dal punto di vista pubblico, alla competenza locale. Ovvio che, per quasi cento anni – stante la secolare tradizione dei comuni italiani che aveva portato a radicare nella coscienza dei singoli il sentimento di cittadinanza, più come senso di appartenenza comunale che nazionale – fra i due istituti, il cittadino e l’amministratore locale abbiano sentito in maniera più forte quello del regolamento edilizio che non quello del Piano regolatore urbanistico. L’autorità centrale era lontana; i problemi e i discorsi su un vago e sconosciuto superiore interesse pubblico, da questa esposti, erano difficilmente comprensibili nei centri grandi, medi o piccoli dove, per secoli, si era combattuto per la mera sopravvivenza. Non può stupire, quindi, che i pochi piani regolatori, emanati in base alla legge n. 2359/1865 o ad altre leggi speciali, ebbero scarsa applicazione, tanto da costringere il legislatore, a fronte di una insufficiente normativa comunale, ad intervenire spesso con provvedimenti di natura settoriale. Provvedimenti di per sé opportuni e ben congegnati, tanto da essere tuttora in vigore, ma ancora una volta mancanti di quella visione unitaria che la realtà urbanistica e la gestione della sua complessità imporrebbero.